Parte tutto da un concerto, un bellissimo concerto.
Domenica sono andato a sentir J Mascis. Questo omone capelluto, che somiglia sempre di più a uno yeti, sia per postura che per canizie, è passato per portare il suo nuovo disco acustico, il primo con inediti, senza i suoi fidi dinosauri. Passa al Bloom e rimane fuori a parlare con i suoi amici (o forse ad ascoltare, visto che dice una parola al giorno, quando si sveglia spigliato), poi entra, sale sul palco, prende la chitarra, suona mezzo accordo, accorda, posa la chitarra ed esce. Poi torna, “hi, thank you”, suona, “bye, thank you” ed esce.
Tutto con la lentezza che lo contraddistingue. Che più che lentezza è un’inesorabilità che si trova anche e sempre nei suoi testi. Lui è uno che più che vivere, è vissuto. Nel senso che è la vita a vivere lui; lui sta lì e osserva, ascolta, prende, rielabora, mangia… e poi ti mette lì, come un orso buono, un pezzo di argilla dalla forma splendida. Triste, ma splendida. Struggente.
Lui ha questa cosa che ti fa sembrare facile quel che fa. Lui suona e intanto beve, pigia i pedali e sembra non sapere come fare un sol, ma in dieci note ti trovi altrove e ritorno, senza nemmeno essertene accorto.
E tu non puoi che ringraziarlo, imparare e portarti a casa tutto.
Ma a pensare, cominci lì, cominci quando le note te lo fanno fare. Stai pensando che quella canzone è su un cd che hai dato a un amico e non glielo chiederai più indietro, quando uno ti spintona, puzzolente, e ti risveglia:
– NOOO… J Mascis!!
si gira a dire all’amico che si porta dietro. Ti si piazza di fianco, lasciando i tuoi amici a guardargli la nuca e la camicia di flanella (DI FLANELLA A UN CONCERTO!!! Ma allora ti piace il tuo odore di vomito d’orco).
– Scusa!?
– Oh
– C’è gente che…
– Oh, amico, è J Mascis, il mio mito…
– Penso lo sia un po’ per tutti… e c’è qualcuno che se lo stava guardando con calma…
– Ok, scusa
e fa un passo indietro… per mezza canzone, poi spintona il triplo e passa oltre, arrivando in terza fila.
Ora, mi son stato sul cazzo da solo, perché la spocchia con cui l’ho apostrofato, avrebbe riempito il locale, ma tutto questo m’ha fatto riflettere (effigurati se non arriva il pippotto…):
1 – non ricordo perfettamente la conversazione, è andata più o meno come l’ho trascritta, ma quello deve aver detto davvero “amico”… e per un adattatore è come accusare una catena di fast food per l’obesità dei bambini: “sei stato tu a farmi dire questo!!!”;
2 – che diritto ho, io, di impedire a uno di avanzare?! Ma questo pensiero l’ho buttato via subito, perché è stato sicuramente generato dal pessimismo cosmico del J, e poi perché il mio diritto di dirgli con gentilezza che tirare gomitate per star meglio degli altri è sbagliato, ha sicuramente più ragione del suo tirar gomitate;
3 – che cazzo me ne frega del tizio che passa?! Son qui a sentire il Mascis!!! Ci sono venuto da solo, ci sono venuto dopo due giorni di assurdo degenero addioalcelibatico, ci sono venuto spendendo 15 euro (che non sono 12, ecco, che è tutta un’altra cosa); godiamoci il Mascis, punto.
E mi son rituffato nel fiume e mi son ritrovato a imparare un sacco di cose. Avevo invitato una persona quasi sicuramente digiuna di Mascis, convinto potesse piacere, ma, una volta lì, ho pensato che anche acustico, non è proprio il più facile da approcciare, come artista. Uno che fa partire la loop-station con cinque accordi e ci sta sopra 6 minuti ad assoleggiare, non è Joplin che suona “The entertainer” (trovatemi qualcuno a cui possa non piacere sta canzone!), per dire.
E allora m’è tornato in mente un salterello di pensiero che m’era sorto poche ore prima, durante il viaggio di ritorno dall’agriturismo: il festeggiato prende il microfono dell’autobus che ci ha scarrozzati per ore e giorni e arringa concludendo con “ho i migliori amici del mondo!!!”.
Quante volte l’avrà sentito dire l’autista?!
Personalmente era il mio primo addio al celibato, mi sono divertito un mondo, per la gente (non certo per il locale e l’atmosfera capodannesca, s’è toccato picchi di volgarità che tutti, una volta sobri, hanno commentato tappandosi gli occhi), ho conosciuto meglio alcuni amici, ho visto mille sorrisi e brindisi e pacche e accordi e perfezioni. Ma lui, l’autista, quante volte avrà visto gente uguale e diversa da noi, quanti diranno le stesse nostre parole, quanti crederanno di essere i migliori amici del mondo?!
Tutti. Ma è giusto così. Il Mascis è il mito di quello lì davanti, che parla ancora con il suo amico, anche se quest’ultimo è rimasto lì al mio fianco (quindi urla, suscitando un po’ di ira in chi cerca di sentire il concerto, lì intorno), ma è anche il mito del centinaio di persone che sono lì.
E cosa rende uniche tutte queste situazioni?!
L’io, l’esperienza, il contesto, la vita in sé. La medesima magia che è il crescere.
Io ho deciso che per me è magia, quella del crescere come sei. Tu nasci ed è un fatto. Impari le cose che i tuoi genitori, o chi per essi, ti insegnano, ed è un fatto. Vivi, subisci e padroneggi tutte le esperienze che ti capitano o cerchi, e anche questi son fatti. Ma l’indole?! L’attitudine con cui fai tutto?! Quel tuo puro e profondo modo d’essere che hai tu, è tuo e di nessun altro, che definisce il tuo carattere, che ti fa essere, che ti fa decidere se essere buono o cattivo o entrambi. Ecco, quello è magia. O sogno. Che poi è la stessa inspiegabilità.
E allora io sono lì a farmi cullare dalle note e a cullarmi volontariamente, nello stesso istante. Attivo e passivo essere che vive quel momento. Arrivato lì grazie e nonostante tutti i momenti passati. Perché?! Magia.
Non credo in un dio, credo nella differenza e unicità di ognuno e credo di avere bisogno di tutta questa diversità, per prender forza dall’unicità. I tizi che mangiavano davanti a noi, sabato sera, avevano i modi, le parole, quasi anche le facce di quelli che al massimo aspirano (oltre che la coca, per essere in) al grande fratello, ma per loro, tra loro, con loro, erano perfetti ed erano i migliori. Noi, lo eravamo per noi, tra noi, con noi.
Bisognerebbe saper sintetizzare questi concetti, scriverci un libro, o anche solo una canzone con un testo. Ma non ne son capace, mi limito a sentirmi grato di poterli vivere.